Ferruccio Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant'anni di giornalismo (2017) by Ferruccio de Bortoli

Ferruccio Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant'anni di giornalismo (2017) by Ferruccio de Bortoli

autore:Ferruccio de Bortoli [Bortoli, Ferruccio de]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2017-05-12T22:00:00+00:00


Romiti, Bazoli e il peso delle proprietà

Cesare Romiti è stato, negli anni della mia prima direzione al “Corriere”, l’editore di riferimento. Non sono mancate le divergenze, i punti di contrasto. Ma non posso che ringraziarlo per la fiducia – che probabilmente c’era anche quando io ero convinto di averla perduta – e per la libertà. Anche di sbagliare. Romiti non è mai stato, per esempio, un entusiasta sostenitore della moneta unica. Su questo tema ha sempre avuto posizioni eterodosse, più simili a quelle di un consigliere di allora della RCS, Paolo Savona, che fu un accanito – e da me allora mal sopportato – detrattore della linea europeista del “Corriere”. E non solo. Savona e La Malfa hanno scritto sul “Corriere” del 27 dicembre 2016 un interessante articolo critico sulla sostenibilità nel tempo dell’euro. Devo dire che se lo avessero pubblicato dieci anni prima sarebbero stati sommersi dalle critiche e anche da un malcelato disprezzo intellettuale. Oggi la loro posizione non è così minoritaria. Ma questo è un guaio. Romiti lavorò per la vittoria, nell’inverno del 2000, della candidatura di Antonio D’Amato al vertice di Confindustria. Il giornale era invece nettamente convinto che alla fine l’avrebbe spuntata Carlo Callieri che era stato messo proprio da Romiti e Agnelli alla guida di RCS, dopo l’acquisto da parte di Gemina nel 1984. La zampata dell’ex presidente del Lingotto contro l’uomo di Torino, ovvero contro parte della sua stessa storia, lasciò il segno. Vinse D’Amato, che Agnelli aveva definito come una sorta di “berluschino”, ovvero come il prototipo di una nuova imprenditoria di cui non capiva né la consistenza né il linguaggio. E verso la quale aveva una sorta di insopportabile pregiudizio etnico. Fu la prima dimostrazione della perdita di peso specifico della FIAT all’interno dell’associazione degli imprenditori che poi avrebbe portato, in anni successivi, al divorzio definitivo. Ma fino ad allora la simbiosi era stata pressoché totale. Fu sempre Romiti a rendere possibile l’investitura di Giorgio Fossa, predecessore di D’Amato. Certo, se ne avessimo parlato, se avessi saputo delle sue preferenze, il giornale si sarebbe risparmiato una pessima figura. Le scoprii solo a cose fatte, quando mi snocciolò con soddisfazione i numeri della consultazione interna al mondo confindustriale, non nascondendo più il proprio ruolo di promotore attivo. Ma meglio così, a dimostrazione che tra editore e direttore le idee e i sentieri possono divergere.

Pensando alla figura di Romiti, la mente è affollata di ricordi. Sono così tanti che si confondono, si sovrappongono. Romiti, per esempio, era un grande amico di Claudio Abbado. Un giorno combinò di andare a Ferrara, dove il maestro dirigeva, e di incontrarlo a colazione. Il nostro scopo era quello di convincerlo a tornare alla Scala. Battaglia del “Corriere”, nella quale avevo coinvolto anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Uno sforzo titanico ma inutile che si scontrava con le due inconciliabili personalità dei protagonisti: l’algida distanza di Abbado e la focosa presenza di Riccardo Muti. Un’impresa disperata, noi pedine – Ciampi compreso – di un’interminabile tenzone artistica. Scena e spartito erano loro.



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